
BERNARDINO DEL BOCA 1919 – 2001
Fondazione Bernardino del Boca
Il volume rappresenta lo straordinario contributo di ricerche e studi realizzati per la mostra allestita dalla Fondazione Bernardino del Boca e curata da Lorella Giudici, con la collaborazione di Marina Tappa, dal 18 febbraio al 18 marzo 2017 al Complesso monumentale del Broletto di Novara, dove furono esposte 92 opere dell’artista, provenienti da collezioni private e di proprietà della fondazione stessa.
All’introduzione di Enrico Sempi, presidente della fondazione, seguono gli interventi del fratello Angelo Del Boca, noto scrittore e storico, che ricorda i momenti d’infanzia trascorsi con Bernardino e il saggio di Antonio Girardi, segretario nazionale della Società Teosofica Italiana, che ripercorre l’esemplare testimonianza umana e letteraria dello stesso. Lo studioso teosofo novarese Giorgio Pisani ne valuta il significativo ruolo di teosofo e Alessandro Martinisi analizza i disegni di Del Boca applicando le teorie matematiche delle Reti e del Piccolo Mondo.
La prima parte del testo si conclude con il saggio della docente di Storia dell’Arte all’Accademia Di Brera a Milano e all’Accademia Albertina a Torino, Lorella Giudici, che traccia le linee guida della sua intensa operatività artistica, individuando collegamenti con il contesto dell’epoca ed evidenziandone i punti di forza e con la ricerca sul mondo dei simboli realizzata da Marina Tappa, saggista e storica dell’arte.
Ricco di illustrazioni, il volume riporta le immagini a colori di tutte le opere esposte, oltre a numerose figure di riferimento, e include un catalogo ragionato delle 92 opere redatto da Marina Tappa, con schede di approfondimento per ogni quadro.
Il simbolo, la vita e l'arte
“Il lavoro delle nostre Essenze, di quella Realtà che determina il Mondo d’ombre che vediamo, è percepibile soltanto al livello dei simboli. Per scoprire questi simboli passo il tempo a disegnare”.
Bernardino del Boca (ndp 1)

Il destino aveva voluto che il nonno paterno Bernardo, dopo la morte della prima moglie Maddalena, si unisse con una principessa ungherese della famiglia degli Esterhazy, la quale avrebbe spesso portato con sé il giovane nipote Bernardino – in cui sicuramente aveva intravvisto i germi del futuro spiritualista - e a cui avrebbe fatto conoscere numerosi personaggi dell’aristocrazia, oltre che del mondo della teosofia. Fu una di quelle persone, la principessa Djavidan Hanum, moglie del Kedivè d’Egitto a suggerire a del Boca di stilare quotidianamente i resoconti “dei fatti, degli incontri e dei nomi” (ndp 2) ed è sulle spiagge di Nizza, dove il Nostro si trovava in vacanza con la nonna e dove la principessa lo aveva notato, che iniziò a scrivere le sue cronache giornaliere. Dall’incontro cruciale tra un ragazzino ancora introverso, ma destinato a diventare prolifico conferenziere, e l’“amabile signora” Hanum uscì questa fatidica frase: “Scrivo per parlare a me stesso di tutto ciò che concerne la natura del rituale e del simbolismo, che sono gli aspetti universali della cultura umana”. (ndp 3)

Da allora del Boca non smise più di tenere un diario – grazie al quale noi abbiamo oggi la fortuna di poter accedere ai suoi pensieri e di conoscere una parte importante della sua vita – e a “occuparsi” di simboli in tutte le loro accezioni, amplificandone l’importanza ad ogni livello di esperienza. Ed è proprio attraverso il simbolismo in senso lato che egli acquisì l’uso consapevole della “psicotematica”, facendo emergere la realtà spirituale negli eventi del mondo materiale.
Il particolare tipo di comunicazione che avviene attraverso i simboli, che “sono l’aspetto materiale e temporale di qualcosa che l’uomo non può ancora ottenere come conoscenza” (ndp 4), è una facoltà che accomuna l’essere umano agli animali, poiché non avviene a livello razionale, dunque è diretta testimonianza di “un’altra dimensione”, un mondo “legato ai diversi piani di coscienza su cui si evolvono gli esseri del creato” (ndp 5). Per questo, secondo del Boca, la storia del passato del nostro pianeta e dell’uomo può essere ripercorsa intuitivamente attraverso i simboli, riconoscendovi le leggi che governano la vita e lo “spirito” che le determina, elemento ben più importante del prodotto delle azioni. Ed eccone due esempi pratici: uno il mito del Diluvio Universale, che racchiude in sé l’idea del rinnovamento e della rinascita non solo degli esseri ma di tutta la natura, e il simbolo di Icaro, nato per ricordare che l’uomo non deve superare le possibilità fisiche del corpo e i limiti del suo compito momentaneo. E del Boca a questa interpretazione aggiunge: “Tuttavia gli Icari di tutte le epoche sono quelli che spingono gli uomini a non credere nella cenere delle esperienze passate e a tentare le grandi conquiste: gli uomini meschini ridono del fallimento di Icaro, ma gli idealisti ne traggono ispirazione. Tuttavia la vita fluisce nello stesso modo attraverso i meschini e gli idealisti. I primi fissano le pietre della strada e gli altri ne tracciano la direzione.” (ndp 6).

Secondo uno studio di Gennaro D’Amato (ndp 7), il “gran segnario geometrico” – una sorta di tabella periodica di figure - individuato dall’archeologo inglese Flinders Peter (ndp 8) come insieme di caratteri pittografici utilizzati dai popoli del Mediterraneo, costituirebbe in realtà un complesso di segni utilizzati in tutto il mondo, i quali svelerebbero un fondo mitologico unico, un simbolo che all’uomo primitivo doveva apparire come l’essenza di tutte le cose, una vera e propria “rivelazione della divinità”. E aggiunge: “in ciò che possiamo chiamare simbolo, esiste sempre, più o meno direttamente, una condensazione, una relazione dell’Infinito. L’Infinito vien fuso nel Finito, per rendersi in questo visibile, direi quasi raggiungibile. L’universo è un grande simbolo di Dio.” (ndp 9) Dall’AUM (ndp 10), riconosciuto come il principio originario di ogni segno, sarebbero derivati, dunque, tutti i simboli utilizzati dall’umanità – siano essi un alfabeto, i segni zodiacali, i racconti mitologici o molte delle opere artistiche prodotte dall’uomo – che l’autore passa via via in rassegna e analizza nel suo saggio. E del Boca conferma: “Dagli archetipi che ebbero inizio dal suono OM sono discese e si moltiplicarono le Illusioni sui nove piani dell’esistenza (sette + 2). Uno di questi piani, quello che sviluppa la coscienza umana, è quello della Bellezza. Mediante la semplicità, l’armonia, l’amore e la purezza del sentire, la Bellezza porta l’individuo ad intuire quella realtà spirituale, invisibile ai nostri ottusi sensi materiali, da cui tutto deriva.” (ndp 11)

Nella rivista “L’Età dell’Acquario” del Boca indaga sui racconti mitologici e sul valore dei loro simboli, proponendo l’interpretazione di miti provenienti da differenti culture e riconoscendo, come già prima di lui aveva indicato Madame Blavatsky (ndp 12), la mitologia indiana come quella “più ricca e anche la più profonda di significati” (ndp 13). Si tratta di un corpus - eloquente per quantità e vastità di indagine – di 130 articoli circa (ndp 14), dei quali numerosissimi sono quelli dedicati alle mitologie più diffuse e conosciute, come quella greca, celtica (la più vicina alla natura), indù, nordica (dei poemi epici Nibelungenlied e dell’Edda), cinese, egizia, tibetana e del Mondo di Mezzo. Di alcuni paesi vengono poi prese in considerazione le religioni animiste preesistenti a quelle ufficiali che credono negli invisibili spiriti della natura, come quella della Birmania (spiriti dei Nat) (ndp 15), della Thailandia (i Phi) (ndp 16), del Giappone (i Kami), del Vietnam (i Thien tirong), del mondo islamico (i Djinn) o anche la mitologia dell’antico regno Khmer della Cambogia, degli aborigeni australiani, dell’isola di Giava o lo sciamanesimo della Siberia e quello dei Nativi d’America. Durante le conferenze tenute periodicamente in numerose sedi, del Boca espresse più volte il desiderio che venisse realizzato un museo dell’animismo, affinché non si dimenticassero le culture dei popoli primitivi che, secondo lui, sono “relativamente poco schiavi delle costruzioni del pensiero, mentre quelli civili, costretti dalle culture a identificarsi con molte espressioni della materia, non possono né ritrovare dentro di sé la dimensione magica che porta a comunicare con la vita cosmica, né possono intuire o vivere la realtà dello Spirito” (ndp 17). In questa sua opera di divulgazione della mitologia universale raccolse anche esempi di popoli estinti come gli Aloiti (ndp 18) o i Filistei che, secondo molti storici sarebbero stati assorbiti da altre culture senza lasciare nessun contributo, ma che lui indica come popolazione dalla mentalità mesolitica, come gli Zingari e i Cimbri, che adoravano il dio Dagon, di cui permangono tracce anche in Piemonte (ndp 19). All’indagine informativa vengono poi affiancati esercizi pratici per comprendere, attraverso l’uso della psicotematica, il significato della simbologia dei miti, che sono poi gli archetipi che uniformano le leggi che governano la vita dell’uomo (ndp 20); altrove vengono fornite anche risposte a quesiti che parrebbero insolubili, come l’indicazione di come sia nata l’idea degli dei nella cultura umana: “Dal ricordo dei tempi favolosi del nostro passato, l’uomo cominciò ad umanizzare alcuni simboli archetipici e certe energie che regolano la nostra vita. Furono gli antichi Egiziani i primi a fabbricare gli dei.” (ndp 21).
Questa congerie di materiale, di cui risulta impossibile fornire elementi bibliografici che richiederebbero uno studio a sé, è comunque esplicitamente finalizzata a far comprendere uno dei principi della teosofia (ndp 22), e cioè che la vita è una e unica è l’umanità.
Prima di prendere in considerazione la produzione artistica di del Boca nei suoi aspetti legati al simbolo, si può ora anticipare che, almeno in un’occasione, fu lui stesso a creare un simbolo per interpretare con un segno grafico la visione di particolari energie che chiamava Zoit e che spesso gli apparivano come “spiragli luminosi” o “fessure ultraviolette” dell’altra realtà: si tratta di “fiamme lanceolate”, variamente interpretate dal punto di vista grafico, in alcuni casi realizzate con morbide volute e in altre opere più simili a lamine metalliche (ndp 23). Del Boca racconta con i limiti di un linguaggio ancora inadatto: “nella violacea luce la fiamma lanceolata degli Zoit continuamente si trasforma nel semplice linguaggio telepatico. Poi, poi […] poi non posso più dire. Non ci sono le parole per dire”. (ndp 24)

Esiste una breve pubblicazione che raccoglie lo scambio epistolare (1904 – 1914) tra il poeta Andrej Belyj (ndp 25) e il futuro sacerdote-scienziato Pavel Florenskij (ndp 26), entrambi giovanissimi esponenti del simbolismo, il più importante movimento letterario russo del Novecento. I due, legati da un rapporto di intesa molto intimo, avevano in comune la concezione del mondo basata essenzialmente sul simbolo tanto che, partendo dalle idee platoniche, ovvero gli archetipi dell’esistenza, il simbolo divenne, in quel periodo, lo scopo della loro esistenza. Il 18 luglio 1904 da Tiflis, Florenskij descrisse poeticamente all’amico il processo di creazione di un simbolo: “Noi non possiamo inventare i simboli, essi vengono da sé, quando ti riempi di un altro contenuto. Questo altro contenuto, come traboccando dalla nostra personalità non abbastanza capiente, si cristallizza in forma di simboli e noi ci scambiamo questi mazzolini di fiori e li comprendiamo perché un mazzolino sul nostro petto si disfa di nuovo, trasformandosi in ciò da cui era stato creato […] dappertutto nell’aria volano mazzolini. Si può forse dire «Questo è il mio mazzolino?» […] nulla può creare divisione come l’amor proprio letterario. Del «proprio» non c’è bisogno”. (ndp 27). Ad una metafora naturalistica simile ricorse il 25 gennaio 1969 anche del Boca: “Solo i poeti riescono a captare ciò che di nuovo si trova nelle mie parole. Ma anch’essi, appena captato il messaggio, lo mettono da parte. E’ come se avessero raccolto dei fiori, con cura, e poi iniziassero a farne un mazzo che gelosamente vanno a nascondere in qualche luogo, dove i fiori presto avvizziscono, diventano secchi, senza freschezza, senza profumo, senza colore” (ndp 28). Florenskij, citato più avanti anche come studioso della pittura di icone, si sarebbe sentito a suo agio in quel giardino, rinnovandone continuamente fiori e colori.
La vita. Fili di un prezioso tessuto
“Chiamiamo destino ciò che ci accomuna. Non abbiamo un nome per la trama dei sogni che colorano il nostro vivere.”
Bernardino del Boca (ndp 29)

Come si è visto, nei suoi libri del Boca ha dedicato ampio spazio alla riflessione sul tema del simbolo, la cui comprensione riteneva importante ma, oltre a questo, da uomo aristocratico, amante della Bellezza in tutte le sue forme, curioso di ogni espressione dell’uomo e della cultura era abituato anche a circondarsi di “testimoni” che alludessero più o meno apertamente alla realtà spirituale. Come per molti nobili dell’epoca, la sua casa raccoglieva gli elementi più disparati con una forma di collezionismo che era, prima di tutto, culto dell’oggetto - allusivo, secondo la simbologia della psicotematica. Essi venivano raccolti più per il loro valore spirituale che per quello materiale, ma anche per la carica magnetica di chi li aveva posseduti e che loro conservavano, facoltà che per del Boca costituiva un’esperienza visiva diretta: “Nella luce color lavanda con cui gli Zoit illuminano le mie notti, vedo i mobili e gli oggetti che arredano la mia camera: sono carichi di fili, di nomi, di emozioni, di ricordi, di oscuri simboli. Su alcune cose pendono brandelli di vita di esseri che non sono più in questa dimensione, ma che si ostinano a possedere una piccola parte di quella cosa” (ndp 30). Amava circondarsi di porcellane orientali, statue lignee di idoli – e fra queste sono numerose quelle antiche dei Nat che, come si è detto, sono gli spiriti della natura di provenienza birmana – boccette di profumo per il loro design e la loro essenza; raccoglieva medaglie e monete, portandole a casa anche dai paesi in cui viaggiava e con le quali talvolta realizzava collage soprattutto su bauletti. Forse servivano a ricordargli che “nell’illusorio mondo tridimensionale, il Trimundio, tutto è duale. Ogni cosa è come una medaglia, ha un lato buono e uno cattivo, uno bello e l’altro brutto, uno luminoso e uno in ombra. E i valori positivi e negativi possono cambiare secondo le posizioni dell’individuo con le sue radici”. (ndp 31)

E’ sorprendente notare come la stessa passione per l’“oggetto” – che acquisisce valore simbolico, antropologico, animico oltre che culturale e risulta perciò dotato di una potenzialità infinita di significati – venga trasferita anche nella sua letteratura, nata dalla medesima ispirazione che animava ogni giorno la sua vita quotidiana, oltre che la sua produzione artistica; infatti in La casa nel tramonto riporta la descrizione di una camera segreta che ciclicamente si presenta nei suoi sogni – e dove, tra l’altro, avrebbe visto l’originale del suo Autoritratto, opera d’apertura della mostra – in cui descrive gli oggetti con la lucidità con cui si contempla un quadro: “Guardo tutte le cose con molta attenzione. […] Nei cassetti del ricco mobile Luigi XIV che Boulle ha istoriato con eleganti decorazioni in metallo dorato, so che ci sono gioielli, pacchi di banconote turche e austro-ungariche, lettere interessanti di donne e di diplomatici, e tante monete d’oro. Fra queste uno statere di Mysia con la testa di Zeus; uno statere di Metaponto con la testa di Hera, una medaglia etrusca con l’effige del dio Tages” e, dopo aver descritto i dettagli di altre monete, prosegue: “a fianco del vaso cinese, fra piccole cose, c’è una ciotola d’argento. Dentro ci sono tre noci moscate. A fianco della ciotola, scolpita da un artigiano del Sultanato malese di Kelantan, una scatola coreana di lacca è piena di francobolli. Vicino ci sono tre statuette di Bodhisatvas di epoca Ming”. (ndp 32) Il bisogno narrativo si fa urgente in un elenco infinito di nomi e cose – esempio di quelle che Umberto Eco definisce “liste vertiginose” (ndp 33) così frequenti nei nei suoi romanzi, per una predilezione che gli derivava da passioni giovanili oppure quella proverbiale di James Joyce degli oggetti contenuti nel cassetto di Leopold Bloom nell’Ulysses - in cui è difficile non riconoscere i medesimi oggetti che decorano la sua casa o che popolano alcune sue composizioni.
Benché della sua produzione artistica si tratti più avanti, vale la pena di soffermarsi sull’attività di decorazione a collage di oggetti, a cui generalmente l’artista abbinava tilaka (ndp 34) e inserti ornamentali a linee ondulate – ma che solo ornamento non sono, essendo un espediente grafico per rappresentare la “dimensione parallela” – spesso realizzati con lo smalto d’oro, il colore - noncolore che può essere caricato magneticamente, grazie alle parti di metallo che contiene. Una tecnica da lui elaborata in Oriente, ma che ha una sua tradizione nell’antiquariato veneziano del ‘700 – la “lacca povera” con cui si realizzavano mobili meno pregiati delle lacche orientali, ma molto richiesti – e che è poi stata ripresa anche dall’Inghilterra vittoriana. Si tratta essenzialmente di bottiglie, di cui ebbe una produzione foltissima, e di mobiletti: alcuni decorati con etichette di vario tipo e, come si è detto, con monete e medaglie, individuabili come “testimoni del tempo”, altri arricchiti di fiori – rose, garofani, dalie e tulipani – che risentono del gusto vittoriano per il tema floreale, ma che in del Boca è meno edulcorato, per i colori sgargianti a forti contrasti cromatici, che ne fanno espressioni di un’arte pop, così come è stato evidenziato da Lorella Giudici anche per i quadri a collage. Si conservano fotografie di una delle rare occasioni in cui Bernardino fece una dimostrazione del suo lavoro, per coloro che desideravano cimentarsi con questa tecnica. Sull’argomento il 28 ottobre 1949 ha scritto: “le cose che saranno più cercate, della mia produzione, quando non ci sarò più, saranno i miei acquerelli e i miei collagi. Li ho iniziati per raccogliere denaro per la Società protettrice degli animali e per insegnare ad usare tutto, a non distruggere nulla. Diventeranno pezzi di curioso antiquariato” (ndp 35). Si trovano riferimenti di questo tipo di attività svolte nel passato in quelle scuole nate per la produzione di oggetti artistici, fino a quel momento accessibili solo all’aristocrazia e in alternativa all’anonima fabbricazione industriale, alla bottega di Arts and Crafts o a vere e proprie scuole come la Bauhaus. A Milano ci sarebbe stata poi la produzione di Piero Fornasetti (ndp 36), oggi più di ieri diffusa a livello internazionale.

Per tornare a del Boca collezionista di oggetti dell’anima – un ossimoro, come si è visto, solo apparente -, fin da piccolo conservava anche i francobolli: fu da un francobollo che aveva barattato con un bambino in cortile, fatto che gli era costato un rimprovero da parte della madre, che aveva appreso l’esistenza del Siam, si direbbe un simbolo premonitore, dal momento che nel Siam sarebbe poi davvero andato nel ’46.
Teneva le etichette, soprattutto quelle dei vini, molte delle quali si è visto che sarebbero poi state incollate sui mobili, in qualità di testimoni di un gusto, dell’espressione di un particolare momento. Raccoglieva le pietre, comuni sassi che prendeva da un luogo per depositarli in un altro molto più lontano, creando relazioni e legami che fossero stimoli energetici, e molte delle persone che viaggiarono con lui in Oriente dopo il 1988 sarebbero state incaricate di assolvere a questo compito. E’ lui stesso a scriverlo: “Ogni pietra conosce la storia del mondo e gli eventi del Regno di Mezzo. Io amo le pietre e ho imparato a intercettare i loro messaggi agli Elementali”. (ndp 37)
E dunque anche i gesti più strani avevano una loro giustificazione, un senso preciso. Fu interpretata come una forma di snobismo, e per questo forse giudicata negativamente, quella sua tendenza a conoscere e frequentare persone dell’alta società, del jet set e dell’élite culturale. Infatti, in riferimento alla “Jet Age Society” si viene a sapere che “abituati a particolari e rarefatti valori edonistici della vita, accetterebbero con facilità quella «distruzione dei valori materiali» che permette di vedere l’«altra realtà», quella che ha origine alla sorgente degli Archetipi”. (ndp 38)

E dunque teneva una fittissima corrispondenza con persone di tutto il mondo, utilizzando gli yantra come diagrammi di potere: “Si può scrivere a 3, a 6, a 9 persone, scrivere anche di nulla, ma unire queste persone da un forte pensiero che presto diventerà loro, farà scoprire loro uno strano sincronismo nelle cose, li aiuterà a vivere più per ESSERE che per avere” (ndp 39). Attraverso Tab Hunter (ndp 40), conosciuto in Oriente quando non era ancora attore, egli entrò in contatto con molti attori hollywoodiani fra cui James Dean, Natalie Wood e Richard Chamberlain, con quest’ultimo ebbe una corrispondenza epistolare per tutta la vita. Mantenne contatti, seppure più diradati, con personaggi del mondo dello spettacolo anche più avanti negli anni e infatti alle conferenze che teneva quindicinalmente al Villaggio Verde a Cavallirio, negli anni ‘90, era talvolta presente l’attore Luca Barbareschi o il presentatore Marco Columbro, attirati dagli strani discorsi tenuti da quello che all’epoca si presentava come un discreto gentiluomo di campagna.
Fu uno strenuo lettore, sempre alla ricerca di novità in campo editoriale che gli segnalassero progressi nell’ampliamento di coscienza dell’umanità. Le ultime pagine della rivista “L’Età dell’Acquario” accolgono le segnalazioni e le relative recensioni di libri e ancor più di riviste di provenienza internazionale, tutte pubblicazioni che acquistava personalmente – suo grande fornitore fu lo storico giornalaio Algani, nella Galleria Vittorio Emanuele II di Milano – e che abitualmente presentava all’inizio di ogni conferenza, stimolando la curiosità degli ascoltatori; espediente, come poi si scopre leggendo i suoi libri, che serviva ad arricchire la vita di ciascuno non soltanto dal punto di vista culturale: “La posta viene a ricaricarmi: un catalogo della E. J. Brill (ndp 41) di Leida mi permette di fare un esercizio di psicotematica […]. L’esoterismo sembra pieno di misteri, ma questi misteri sono rebus indecifrabili soltanto per chi non conosce la vera realtà” (ndp 42). E poi acquistava moltissimi libri, soprattutto antichi, di cui amava le note a margine scritte a mano, e testi esoterici stampati per lo più da Arché, all’epoca di proprietà di Ladislao Toth, che poi si trasferì a Parigi.
Alla sua morte Bernardino ha lasciato una nutritissima raccolta di libri e riviste, ma anche di depliant e fogli ciclostilati, scelti secondo un criterio olistico che cogliesse lo “spirito dei segni dei tempi”, anche grazie all’evoluzione che si stava annunciando nel mondo alternativo giovanile degli anni Sessanta e Settanta. A questo fondo di 12.000 pubblicazioni, che costituisce il primo e più importante nucleo della Biblioteca della Fondazione Bernardino del Boca, si sono aggiunti altri lasciti, fra cui il più cospicuo è certamente quello di Francesca De Col Tana e Renzo della Toffola, che comprende attualmente 75.000 stampati fra libri, riviste, opuscoli e cataloghi, e della cui sistemazione si sta occupando la stessa donatrice. A lavori ultimati, l’intera biblioteca dovrebbe raggiungere il considerevole numero di 100.000 pubblicazioni, un’enorme ricchezza che la Fondazione avrà l’ònere – oltre che il merito - di gestire. Approntando numerosi album di “ritagli”, opuscoli e pagine sciolte, che costituiscono nuclei tematici individuati con il metodo della psicotematica, la De Col Tana ha inteso porre “l’attenzione, attraverso il concatenarsi visivo / immaginifico, di un intreccio culturale particolare che è stato […] l’humus esistenziale di Bernardino.

Nessi, fili, relazioni, su più fronti, che rispecchiano anche un’epoca. Lati della sua personalità «terrena» che si accostano ad altre. Intuizioni che anticipano tendenze culturali. Soprattutto il suo riflettere tutto un mondo […] nobile, cosmopolita, raffinato, che, per quanto lui lo avesse minimizzato per privilegiare «altro», traspare comunque costantemente dal suo vivere, dalle sue memorie, relazioni epistolari, collezioni” (ndp 44) La De Col Tana conferma che molti dei libri che erano in suo possesso conservano ancora oggi gli ex libris che lui creava anche con l’aiuto di piccoli collage, che testimoniassero non solo la sua proprietà, ma anche la sua personalità creativa che aveva lo scopo di rendere significativo quel particolare oggetto. In questo senso si sa che Edoardo Bresci assecondò sempre – nonostante le dispendiose richieste – le sue scelte in campo editoriale (ndp 45): in particolare Bernardino esigeva che i volumi pubblicati fossero anche di pregio, con le copertine metallizzate – perché potessero essere caricate del magnetismo di chi le possedeva, come si è già avuto modo di dire – o particolarmente ricercate nella rilegatura in pelle, con incisioni a disegni decorativi a pellicola d’oro, di sua realizzazione, come per l’edizione limitata di La dimensione della conoscenza e di La casa nel tramonto, tuttora destinati ad un pubblico di intenditori e collezionisti.
Certamente in lui vita spirituale e materiale sapevano intrecciarsi secondo arcane alchimie anche nei fatti più semplici che caratterizzano la vita quotidiana. Ad esempio la carta da lettera che gli serviva per la corrispondenza giornaliera – carta fatta a mano commissionata alla tipografia Pettinaroli di Milano – era corredata dallo stemma di famiglia, lo stesso che è presente in molte sue opere e al cui catalogo si rimanda per ulteriori dettagli in merito. Questa, da alcuni interpretata come una curiosa civetteria, in realtà riflette un suo differente modo di considerare fatti e cose: “Alcuni giorni fa, tanto per parlare, tanto per sfogare le sue negatività, un amico si mise a criticare l’uso che fanno tuttora i Papi degli stemmi. Lo stemma è un simbolo dell’antica cavalleria. Uno dei tanti aspetti con cui l’uomo cerca di nobilitare l’illusione materiale. […] La simbologia si basa su elementi visibili che richiamano valori invisibili”. (ndp 46)
I simboli lo circondavano, lo proteggevano, gli davano energia e valorizzavano la sua quotidianità.
L’arte. La Bellezza che non ha tempo
“Gli Zoit oggi mi hanno portato dove la Bellezza sfuma nel calore luminoso del sole e dove le lacrime diventano cose più preziose dei brillanti della terra.”
Bernardino del Boca (ndp 47)

Per quanto riguarda la visione teorica dell’arte di del Boca, il tema è stato ampiamente trattato da Lorella Giudici (ndp 48) nel suo saggio pubblicato in catalogo, a cui si rimanda per eventuali approfondimenti. Qui basta dire che, riprendendo una teoria che era già stata espressa da Gurdjieff (ndp 49) negli anni ’20, del Boca distingue tra arte soggettiva, categoria a cui appartiene gran parte dell’arte moderna, in cui “l’artista è completamente schiavo dell’idea e del tipo d’arte che ha fatto sue e perciò sono le idee e il tipo d’arte che creano il risultato del suo lavoro” (ndp 50) e l’arte oggettiva che “ha sempre un messaggio nascosto che non si esaurisce con la moda o il gusto del tempo in cui fu creata, ma rimane valida per tutti i tempi.” (ndp 51). Per realizzarsi l’arte si serve poi del valore intrinseco della Bellezza, veicolo con cui il cultore accede intuitivamente al mondo della spiritualità, sede della verità assoluta. Il simbolo dunque non è che elemento “spirituale” che si fa “corpo” grazie all’azione dell’artista, cioè il fattore che porta nel mondo tridimensionale un palpito, un sussurro della realtà parallela.
E così, assecondando il suo gusto ricercato e letterario, ma anche consapevole di volersi rivolgere senza intellettualismi ad un pubblico il più vasto possibile, del Boca rinnova e sciorina nell’arte la medesima pletora di “oggetti simbolici” come faceva anche nella vita privata. Nelle ultime pagine della rivista “L’Età dell’Acquario”, accanto alle recensioni delle novità editoriali, sono pubblicati frequentemente simboli di ogni tipo e provenienza, scelti – sembrerebbe – anche per l’aspetto grafico gradevole.
Un altro elemento che compare molto spesso a corredo dei suoi scritti sono i frontespizi: si tratta con frequenza di libri antichi che vengono citati nel testo, ma altre volte è utilizzata la cornice del frontespizio per riquadrare la foto di un ritratto o di un disegno o di una scritta o come decoro della prima pagina di un suo libro. I frontespizi, che si sono affermati nel ‘500, oltre che alle informazioni sulla paternità dell’opera, la responsabilità dell’edizione e della stampa, assolvono ad una funzione “pubblicitaria” con informazioni più o meno simboliche sull’opera contenuta. Ad esempio la prima pagina di La casa nel tramonto (1980) presenta una cornice manierista con festoni, volute, mazzi di frutta, drappi e mascheroni che fanno da contorno alle figure tratte dalla mitologia greca – ecco che ritorna il mito, puntuale, a conferma della sua importanza nell’immaginario di del Boca – fra cui si riconoscono Saturno, Giove, Mercurio, Cupido, Minerva, Venere, Leda, Nettuno, Ercole e Marte, ciascuno con i rispettivi attributi.
In stretto rapporto con i frontespizi, del Boca ha realizzato dei disegni, forme di elaborati stemmi, in cui vengono accostate immagini e parole, con una forte concentrazione di messaggi. E’ il caso del blasone dedicato al suo luogo d’origine, pubblicato con la didascalia: “Un mio disegno per illustrare il paese di Boca” (ndp 52) in cui la cornice, di concezione architettonica a forma di edicola, contiene due vedute del paese, una con la chiesa parrocchiale, l’altra con il santuario dell’architetto Antonelli; due giovani in costume chiudono la composizione ai lati, con le cornucopie ricche dei prodotti della terra e due stemmi sono posti ai due estremi verticali - quello piccolo in alto, della famiglia del Boca, e quello in basso, il grande gonfalone, con l’iscrizione delle nobili famiglie più antiche del comune: una confluenza di simboli atti a valorizzare un paese che amava e di cui voleva mettere in luce tutto quel che c’era di meglio.

Simile a questo è un gruppo di disegni pubblicati, dei quali uno è dedicato espressamente alla Società Teosofica (ndp 53) con il ritratto centrale di Blavatsky e il suo testo La dottrina segreta con i simboli laterali; un altro con i versi “Notte oh! Sapessi tu come io ti guardo…” (ndp 54), accompagnati dalla scritta del suo nome con lo stemma di famiglia e l’allegoria della Notte in alto; un altro ancora con l’immagine del leviatano, i suoi dati identificativi e la scritta Bangkok 1947 (ndp 55) – luogo forse della sua esecuzione – e infine una composizione con due giovani protetti da due grandi ali, probabilmente anche questa dedicata alla Società Teosofica, vista la presenza del simbolo identificativo, e la scritta che si ripete in italiano, latino e inglese: “Hai visto un fratello? Il tuo dio hai visto: inginocchiati e adora!” (ndp 56)
Si tratta probabilmente - almeno per alcuni di questi - di immagini utilizzate come ex libris, attività che svolgeva fin dai tempi della sua residenza in Oriente; oppure erano pregevoli etichette in dotazione ai quadri che vendeva e che venivano fissate alla cornice del quadro, sul verso, come l’esemplare con lo stemma di famiglia a corredo dei disegni in mostra, intitolati Dal tempio di Han. Molti altri artisti, come lui, si sono esercitati su questo tema e hanno prodotto ex libris; fra questi se ne può citare uno, di cui Bernardino si è in qualche modo occupato e che stimava: l’incisore olandese Escher (ndp 57), che nelle sue riflessioni del Boca ha definito “acquariano” e di cui ha pubblicato alcuni disegni (ndp 58).

Si ricordano poi tutte quelle illustrazioni realizzate per la rivista “L’Età dell’Acquario”, talvolta con disegni, più frequentemente con collage, quasi sempre ricchi di riferimenti simbolici. Se si pensa che la rivista riporta articoli e materiale iconografico quasi interamente di produzione di del Boca o comunque ricercato e predisposto da lui – sempre avvalendosi della preziosa opera del suo amico-editore Edoardo Bresci con cui strinse un sodalizio durato dal 1970 al 1990, anno della morte di Edoardo - ci si rende conto dell’immane lavoro a cui si è sottoposto per circa trent’anni (1970 - 2000) (ndp 59) e, tramite questa attività, di quale diffusione di simboli si sia reso protagonista. Un’iperbolica promozione di segni che trascendono la realtà materiale e che raggiunge, a ben vedere, un livello inflazionistico, con lo scopo di indurre il lettore ad una maggiore consapevolezza e a un discernimento nel loro uso e del loro valore, ma anche per contrastare quella moltitudine di segni imposti anche dalla società attuale e spesso recepiti inconsapevolmente: “Nel mondo di oggi […] la simbologia non è di aiuto all’individuo, che ha la testa piena di simboli, di conoscenza arida e sofisticata; simboli che gli rubano energie invece di aiutarlo a raggiungere la sua Supercoscienza che sta al di là dell’arida conoscenza mentale” (ndp 60). Per un motivo simile non nutriva un grande interesse per il movimento pittorico dei simbolisti “i quali generalmente sono freddi illustratori dei simboli che esprimono le atmosfere magiche o rarefatte della vita” (ndp 61), pur apprezzandone alcuni esponenti.
Anche nei confronti dell’immagine, si ritrovano gli stessi segni della passione che ha condotto del Boca ad occuparsi di oggetti: in un mondo dominato dalla cultura dell’immagine egli ha condotto un’azione di diffusione capillare di icone alternative attraverso un’attività lavorativa che si poneva in controtendenza alla cultura ufficiale.
Negli anni Sessanta collaborò con lo studio S.C.E.R.P.A (ndp 62). di Milano alle scelte iconografiche di pubblicazioni mediche, per una delle quali scrisse anche numerosi articoli che sono oggi riuniti nel testo In tema di (2010) (ndp 63), dal nome della rivista. Nei medesimi anni e con gli stessi scopi, prestò il proprio contributo anche alla casa editrice De Agostini di Novara, per il volume sull’Asia nell’Imago Mundi (ndp 64) - per il quale disegnò anche le tavole pittografiche che corredano le carte – e per la rivista di geografia antropica “Atlante”, materia che lo aveva sempre interessato e che aveva insegnato per breve tempo all’Università di Pavia alla fine degli anni Settanta e di cui aveva pubblicato il manuale Storia della antropologia (1961) (ndp 65). E non va dimenticato il suo lavoro per la riedizione dell’enciclopedia L’altra scienza (ndp 66), curando in particolare i volumi sull’esoterismo, di cui revisionò completamente l’apparato iconografico, oltre ad intervenire con testi scritti. In collaborazione con l’editore Bresci, realizzò poi le figure di un testo per le scuole di Avviamento Professionale (1968) (ndp 67) - in cui compaiono ad esempio le indicazioni per coltivare un giardino o per creare un mobiletto – che colpì profondamente la fotografa Francesca De Col Tana, attuale responsabile della biblioteca della Fondazione, e di cui scrive: “Semplice, pratico, profondo, in cui l’etica, il miglioramento di sé, la formazione positiva del carattere, sono insegnate insieme al «fare», e che si può applicare a tutti noi, insegnare ai nostri figli” (ndp 68).

Rimane ora da valutare la sua produzione artistica in mostra, della quale si possono mettere in luce i differenti livelli simbolici attraverso cui del Boca ha operato. Già dal punto di vista della tecnica utilizzata si riscontrano procedimenti particolari: il restauratore Mauro Chiodoni, che ha dovuto intervenire in alcuni dei quadri esposti, ha evidenziato una sua personale maniera che risulta abbastanza rara nel panorama artistico. Su un fondo preparato con cementite o gesso, Bernardino dipingeva con l’acquerello o, molto più raramente, con la tempera. La realizzazione di questa mostra, in cui è presente fra l’altro un unico olio dell’opera Romeo e Giulietta, ha fatto emergere la sua assoluta propensione per l’acquerello, una tecnica più sensibile, quasi aerea, che contraddistingue molta arte spirituale, fra cui quella insegnata nelle scuole antroposofiche di Rudolf Steiner (ndp 69). Su questa stesura l’artista interveniva poi con il pastello, creando una materia soffice e spumosa, si direbbe “accogliente”; infine, alla ricerca della luce, procedeva per sovrapposizione con lumeggiature di biacca, e per sottrazione con delle graffiature che alleggerissero la materia, sempre a favore di un linguaggio grafico e di gusto narrativo. A questo lavoro di artigiano, oltre che di artista, fanno pensare le parole di Alberto Abate (ndp 70), anche lui pittore e teorico, il quale sostiene che “L’arte è dal punto di vista iniziatico una via «operativa» come «l’Alchimia»” (ndp 71) e che “Il Lavoro umano tramite la ritualità dell’Arte [nel passato] si trasformava in conoscenza” (ndp 72). Anche da parte di de Chirico viene messa in rilievo la medesima attenzione ai procedimenti tecnici – nel suo caso quasi maniacale, da vero alchimista - nel Piccolo trattato di tecnica pittorica (ndp 73) in cui svela gli ingredienti, i numerosi passaggi e le velature delle miscele di colore; lui che, insieme al fratello Alberto - fino a quel momento scrittore - venne ospitato durante la Prima Guerra Mondiale a Ferrara a casa di Filippo de Pisis, come ricorda del Boca: “presto, assorbiti […] nello studio della Teosofia, delle religioni e del simbolismo orientale, si dedicano tutti e tre alla pittura. I de Chirico scoprono la pittura metafisica, esoterica, fantasiosa che li renderà famosi” (ndp 74).

Nella disamina delle scelte iconografiche operate da Bernardino nella sua produzione artistica, acquista poi un posto di rilievo il volto, con la sua funzione simbolica, e ancor più lo sguardo, che risultano essere elementi cardine della sua pittura. Il volto nell’arte è anche uno dei temi privilegiati dei numerosi studi di Flavio Caroli (ndp 75), che sono poi confluiti nel catalogo della mostra “l’Anima e il Volto” (ndp 76) presentata a Palazzo Reale di Milano nel 1999 in cui, partendo da Leonardo da Vinci e concludendo con l’uomo sofferente di Francis Bacon, sono state indagate le relazioni tra il vissuto interiore e l’apparenza, tenendo come filo conduttore la fisiognomica, che si è poi evoluta nella psicologia.
Le conoscenze nell’ambito della fisiognomica, a cui del Boca dedica numerose pagine (ndp 77), avevano certamente reso palese all’artista quanto Leonardo fosse stato decisivo sia con le sue opere, sia con il suo Trattato della pittura (pubblicato postumo nel 1651), nell’imprimere un interesse psicologico – i “moti dell’animo” – alla fisiognomica della pittura occidentale. Eppure del Boca sceglie di operare in modo differente, riflettendo nei suoi volti – quasi sempre maschili, ma di fatto dalle sembianze androgene – sentimenti positivi e sereni, con fattezze che non conoscono i segni della decadenza e della vecchiaia, immagini di archetipi fuori dalla dimensione temporale, in un’eterna “età dell’innocenza”. Non gli interessava mettere in scena la sofferenza e i tormenti dell’uomo moderno, anzi rincorreva manifestazioni tangibili della gioia, di un sentimento di felicità estatica che dovesse fare da “magico specchio”, una sorta di fonte di acqua miracolosa in cui riflettere un proprio sé che, imbevuto di nuova vita, ne uscisse trasformato. Per questo i suoi volti si ripetono nei tratti somatici perfetti, come giovani attori dai grandi occhi – “finestre dell’anima” -, talvolta ammiccanti e sempre magnetici, consapevoli di trasmettere il fulgore dell’anima, e poi gli incarnati vellutati e le labbra, bocche carnose che conoscono l’amore. Queste facce richiamano diversi filoni di pittura, che hanno tutti in comune il fatto di ignorare i processi della storia: da una parte possono dunque essere riferiti al “candore arcaico” (ndp 78), in quella pittura indirizzata verso valori essenziali e primordiali, che rivelano cose straordinarie dipingendo fatti ordinari e che annovera, fra gli esponenti, artisti come William Blake (ndp 79), Bernardino Luini, Burne-Jones, insieme ad “una pittura semplificata, essenziale […] dall’esplicita funzione illustrativa, decorativa, adatta a un pubblico borghese o alla piccola nobiltà” (ndp 80). E non è dunque un caso che lui stesso dichiari di sentirsi vicino al pittore visionario inglese, con cui sente di avere in comune tanta parte del suo destino, o che sostenga apertamente il suo apprezzamento per il movimento dei Preraffaelliti a cui Burne-Jones apparteneva (ndp 81).

Ma il volto - icona della pittura di del Boca è anche “visione apollinea del mondo spirituale”, così come è inteso da Florenskij nel suo studio sulle icone religiose (ndp 82): differente dal ritratto artistico, dalla cui immagine viene scartato ogni particolare condizionato da cause esteriori, il volto diventa sguardo, “sorgente erompente” dell’energia divina e l’opera d’arte si trasforma in luogo aureo, come l’iconostasi cristiana da cui si irradia il mistero dell’archetipo divino.
Molti altri simboli si ripetono nei dipinti di del Boca, immagini che accompagnano nel tempo la sua pittura, come quello della lanterna, presente già in uno delle primissime opere - Ritratto di giovane a mezzobusto - e che poi avrebbe ritrovato a Singapore come elemento cerimoniale di matrimoni e funerali, e che avrebbe trovato posto anche nei quadri successivi (Giovane accovacciato con città storica di sfondo); oppure quello dei libri, allegoria della sapienza degli antichi, presente sempre nei ritratti giovanili, ma anche nel suo Autoritratto o nel Ritratto di Angelo Del Boca, il fratello, e ancora in Tre giovani e libri.
Molte opere di del Boca presentano anche figure alchemiche: sono frequentissime le immagini di pentacoli e talismani, simboli di protezione, che vengono usati con una sapienza estetica che sa integrarli al resto della composizione; in questo senso è esemplare il dipinto Le stanze di Dzyan, materia oscura ai più, e che tuttavia non appesantiscono l’insieme, anzi si amalgamano con le figure dai colori sgargianti e zuccherini e dalle forme un po’ bamboleggianti. L’intenzione era questa: per quanto il messaggio affrontasse contenuti complessi, al tema doveva corrispondere una pittura di luce e colori, possibilmente di facile impatto.
Con il medesimo criterio vengono create due opere che rappresentano la summa della simbologia alchemica: Il veggente di Ur e Il Rebis alchemico acquariano. I modelli di interpretazione offerti dall’alchimia sono diversi, ciascuno basato su un particolare numero: il numero sette, ad esempio, è collegato ai sette metalli, alle cui tonalità cromatica e alle cui sottili vibrazioni si associa la materia dell’alchimista nei vari passaggi del procedimento. Il numero quattro è invece visto in riferimento alla trasmutazione degli elementi naturali: la terra che si fa acqua, che diventa a sua volta aria per raggiungere lo stadio del corpo igneo con la conversione di una parte in quintessenza. C’è poi il modello del numero tre, che sono i principi dell’esistenza: quello maschile o positivo, detto zolfo, che è solare; quello femminile o negativo, detto mercurio che è lunare e infine quello neutro, il sale, che è il mediatore, l’essere androgeno. E infine c’è il modello basato sul numero dodici che è quello dello zodiaco, diviso in quattro stagioni di tre mesi. Ecco, questi dipinti di aspetto accattivante, con i loro colori dal marrone terrestre, all’azzurro lunare e al verde del Capricorno, con le loro immagini simboliche del Sole e della Luna, dei metalli, dei serpenti intrecciati e della colomba – Telesma della Tavola di smeraldo degli alchimisti – con la Rosa Rossa dell’adeptato nel becco, ci raccontano tutto questo e molto di più.

Al Capricorno del veggente di Ur – che rappresenta l’opera al nero (in latino “nigredo”), che è la prima fase della trasformazione alchemica corrispondente all’autunno, qui è nel suo momento finale già vicino all’opera al verde (o viriditas) dell’inverno – è collegata poi la leggenda del giovane veggente mesopotamico, abituato a considerare il cielo come unica realtà e destinato a morire a sedici anni. Inoltre il quadro allude anche al superamento della dimensione tridimensionale attraverso il cubo, che rappresenta la quarta dimensione, quella del Tempo. Mentre Il rebis, simbolo dell’androgeno, è l’emblema dell’opera al bianco o albedo, che anticipa la conclusione della trasformazione alchemica, che è la rubedo. Pagine e pagine di conoscenze occulte riunite in pochi decimetri di spazio!

Per concludere questo sguardo generale sugli aspetti emblematici dell’opera di del Boca, è infine interessante osservare il reiterarsi dell’immagine dell’albero, del cui valore simbolico (ndp 83) si sono riempiti libri e che richiama essenzialmente il cosmo vivente in continua rigenerazione: si tratta, nel Nostro, di un particolare tipo di pianta dai rami spogli, linee ondulate che formano una specie di ragnatela decorativa, ma che solo motivo ornamentale non sono - come spesso accade in del Boca - perché allusivi di altre realtà (ndp 84). All’albero, fra l’altro, viene anche assegnato un posto preciso nello spazio dell’opera, essendo posto frequentemente in basso a destra dove, secondo gli studi di Rudolf Arnheim della scuola della Gelstat, “qualsiasi oggetto pittorico appare più pesante […] il lato destro si distingue per essere più appariscente […] il lato a sinistra, a sua volta, […] il più accentuato dall’identificazione dell’osservatore con esso” (ndp 85), fatti che potrebbero spiegare le aeree evoluzioni dei rami. Questo elemento, comunque, di ascendenza orientale, ci permette di aprire un discorso più ampio su possibili riferimenti stilistici – e ai principi filosofici che sottendono - che si possono attribuire all’arte di del Boca.
Di alberi simili se ne vedevano già in Giappone nella seconda metà del Quattrocento – ad esempio Paesaggio invernale (1495) di Sesshu - e, nello stesso periodo, in un Islam eccezionalmente figurativo si dipingeva Donne che approntano una colazione all’aperto (1463); anche se l’intreccio più formidabile di quegli anni è forse quello della Sala delle Asse al Castello Sforzesco di Milano affrescato da Leonardo nel 1498, una sorta di pergolato che sfonda idealmente la parete.

Ma è essenzialmente all’arte indiana a cui sembra alludere del Boca, soprattutto per ciò che riguarda quei disegni in cui ogni parte del foglio viene riempita di figure, simboli e scritte in una sorta di horror vacui che Flavio Caroli, nel suo studio comparativo fra arte occidentale ed orientale, identifica come senso distintivo dell’arte indiana, nella quale “fra reale e ideale, fra natura e simbolo, non c’è differenza” (ndp 86). Così diventa riferimento tangibile anche la filosofia induista per cui “il mondo invisibile è fatto di una materia radiante che permea ogni cosa, e una piccola parte di questa materia si è condensata per formare l’aria. […] Nel cosmo non ci sono spazi vuoti" (ndp 87). E da qui le mille volute, i cerchi concentrici, le spirali, le forme cristalline, le linee parallele che corrono sullo sfondo di Coppia con pantheon induista o di Giovane con Buddha in testa, di Deva o di Nameron–Namenor o Il Tao, a rendere satura l’atmosfera di queste sue infinite creazioni.
E se diventa ovvio lo sguardo all’arte indiana per i pannelli con i pantheon degli dei induisti, allora si può ricordare che, oltre all’arte orientale citata, nello stesso periodo anche il nostro Gotico Internazionale produceva racconti visivi ambientati in paesaggi altrettanto densi di personaggi, come nella Pala dell’Adorazione dei magi (1423) di Gentile da Fabriano, che è poi così vicino al dipinto L’imperatore Xuangzong durante una passeggiata del dello stesso secolo, attribuito a Chang Xi.
All’arte religiosa, o meglio, all’arte spirituale va riferita l’opera artistica di del Boca e a lui possono essere attribuite le stesse parole che Bernardino ha riferito all’antico maestro che si occupava di soggetti religiosi nei templi siamesi: “era animato da una pura serenità di spirito e il suo pennello, come voce di un uomo santo, poteva comunicare agli altri questo puro sentimento. L’antico artista thai avrebbe potuto dipingere una scena patetica e spaventosamente fiera, ma egli non divenne mai troppo sentimentale allo scopo di commuovere lo spettatore e non indulse mai ad una forma di espressione volgare. Egli lavorava semplicemente per servire ed esaltare la propria fede.” (ndp 88)
1 B. del Boca, Il segreto degli yantra, “L’Età dell’Acquario”, n. 43, Editore Edoardo Bresci, Torino, maggio-giugno 1986, p. 3.
2 Ivi, p. 3.
3 Ibidem.
4 B. d. Boca, La dimensione umana, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino 1971, p. 61.
5 Ivi, p. 165.
6 Ivi, p. 62.
7 G. D’Amato, AUM Principio fondamentale originario delle Arti umane, I Dioscuri, Genova, 1987.
8 W. M. Flinders Peter (1853 – 1942), considerato un pioniere dell’archeologia, fondò a Londra nel 1915 il Museum Petrie of Egyptian Archaelogy che contiene più di 80.000 oggetti dell’antico Egitto e del Sudan e si colloca tra le collezioni più impostanti di queste culture.
9 G. D’AMATO, op. cit., p. 53.
10 L’OM o AUM è un termine indeclinabile sanscrito ed è considerato il più sacro mantra (formula mistica) induista, strumento di pratica meditativa e oggetto di riflessioni teologiche.
11 B. del Boca, Quando cominceranno gli incendi, fratello, tu dove sarai?, “L’Età dell’Acquario”, n. 25, Editore Edoardo Bresci, Torino, maggio – giugno 1983, p. 4.
12 A corredo di un collage dedicato a H. Petrovna Blavatsky (1831 – 1891) - fondatrice della Società Teosofica (1875) -realizzato da del Boca ed esposto in mostra, di lei scrive: “la più grande occultista del XX secolo. La sua DOTTRINA SEGRETA è la chiave che apre alla Saggezza Antica e a quella realtà spirituale che forma il nuovo piano di coscienza.” [manoscritto inedito, Fondazione Bernardino del Boca, d’ora in poi FBdB].
13 B. del Boca, La dimensione della conoscenza – Dalla paleontologia all’esoterismo, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1981, p. 401.
14 Sono stati visionati tutti i numeri della rivista, dal n. 1 del 1970 al n. 119 del 2000.
15 L’argomento viene approfondito in B. del Boca, Birmania - Un Paese da amare, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1989.
16 Per i giardini del Villaggio Verde, la comunità acquariana fondata a Cavallirio nel 1982, del Boca acquistò in Thailandia un tempietto da dedicare ai Phi.
17 B. del Boca, La dimensione umana, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino 1971, pp. 234 – 235.
18 B. del Boca, Gli invisibili Djinn, gli spiriti dell’aria, “L’Età dell’Acquario”, n. 59, Editore Edoardo Bresci, Torino, gennaio-febbraio 1989, pp. 8 - 9.
19 M. Shenk, Il dio Dagon, “L’Età dell’Acquario”, n. 19, Editore Edoardo Bresci, Torino, maggio – giugno 1982, pp. 26 - 27.
20 Psicotematica della mitologia, “L’Età dell’Acquario”, n. 39, Editore Edoardo Bresci, Torino, 1985, pp. 26 - 27.
21 B. del Boca, La dimensione della conoscenza – Dalla paleontologia all’esoterismo, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1981, p. 401.
22 Del Boca racconta nei suoi diari giovanili che aderì alla Società Teosofica di Milano, contro il parere dei genitori, a soli diciassette anni, il 29 aprile 1937 [manoscritto inedito, FBdB]. Nel 1945 avrebbe lui stesso fondato ufficialmente il gruppo novarese Besant – Arundale, di cui fu presidente per quarant’anni.
23 Le opere esposte in mostra in cui è presente il simbolo degli Zoit sono quasi tutte riunite in un’unica sezione.
24 B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 40.
25 Andrej Belyj, al secolo Boris Nikolaevic Bugaev (1880-1934) era poeta, prosatore e critico. Si faceva chiamare “Andrea il bianco” coniugando il nome del primo apostolo con il colore della purezza. Nel 1904 esce la sua raccolta di poesie Oro in azzurro e nel 1912 aderisce alla scuola antroposofica di Rudolf Steiner.
26 Pavel Aleksandrovic Florenskij (1882-1937) era un sacerdote ortodosso e scienziato, perseguitato dal regime sovietico, ucciso, dimenticato e riscoperto negli anni ’70. I suoi studi trattano dalla fisica alla filosofia del linguaggio, dalla matematica alla dimensione del tempo nell’arte.
27 A. Belyj, P. A. Florenskij, L’arte, il simbolo e Dio, Medusa, Milano, 2004, pp. 53 - 54.
28 B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 22.
29 Ivi, p. 185.
30 Ivi, p. 40.
31 Manoscritto inedito [FBdB]
32 B. del Boca, La casa nel tramonto, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1980, pp. 238 – 239.
33 U. Eco, Vertigine della lista, Bompiani, Milano, 2009.
34Il tilaka è il segno che gli indù si fanno al centro della fronte – il punto di concentrazione delle energie spirituali - con una sostanza colorata; si pensa che abbia anche una funzione curativa e protettiva.
35 B. del Boca, Il servizio, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1988, p. 76.
36 Piero Fornasetti (1913 – 1988) è stato pittore, decoratore d’interni, stampatore di libri d’arte, designer e creatore di oltre undicimila oggetti, di scenografie e di costumi. Negli anni ’50 ha collaborato con Giò Ponti.
37B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 29.
38 Ivi, p. 23.
39 B. del Boca, Il segreto degli yantra, “L’Età dell’Acquario”, n. 43, Editore Edoardo Bresci, Torino, maggio-giugno 1986, p. 5.
40 Tab Hunter, nome d’arte di Arthur Andrew Kelm (1931), è un attore cinematografico, teatrale e televisivo statunitense. Figlio di immigrati tedeschi, prima di diventare attore eccelse nel pattinaggio artistico. Negli anni ’50 divenne una delle maggiori star della Warner Brothers, per il suo bell’aspetto di ragazzo biondo e atletico. Recitò con Natalie Wood in Le colline bruciano (1956) e La ragazza che ho lasciato (1956). In quegli anni ebbe una lunga relazione con il collega Anthony Perkins.
41 La Brill Editore è una casa editrice olandese che opera dal 1683 con sede a Leida. E’ dotata di un catalogo scientifico e storico molto ricco. Fra i suoi clienti ci sono le più importanti biblioteche ed istituzioni universitarie del mondo occidentale.
42 B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 29.
43 Francesca De Col Tana, fotografa di giardini, di cui ha pubblicato libri fotografici, è stata ricercatrice iconografica e consulente per ricerche di numerose case editrici. Ha lavorato per le riviste Gran Bazar, AD (con una collaborazione di 30 anni), Antiquariato, Bell’Italia (attività proseguita per 10 anni), Bell’Europa. Attualmente, con l’aiuto del marito Renzo Della Toffola, sta sistemando il materiale raccolto durante tutta la sua vita, anche grazie agli stimoli ricevuti dalla costante frequentazione di del Boca. A lei vanno i miei ringraziamenti per la consultazione di testi della biblioteca e per i numerosi ragguagli ricevuti utili alla stesura di questo testo.
44 Lettera scritta da Francesca l’8 dicembre 2006 e indirizzata al presidente della Fondazione Enrico Sempi [FBdB].
45 Del Boca ebbe sempre l’incarico di direttore editoriale, oltre che artistico, della casa editrice.
46 B. del Boca, Venere davanti al concilio degli dei, “L’Età dell’Acquario”, n. 41, Editore Edoardo Bresci, Torino, gennaio – febbraio 1986, pp. 4 - 5.
47 B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 211.
48 Ringrazio Lorella Giudici per la disponibilità e la cura con cui mi ha accompagnata nella stesura del catalogo, senza il cui aiuto difficilmente sarei riuscita a portare a termine questo compito.
49 Georges Ivanovic Gurdjieff (1872- 1949) di origini greco-armene è stato filosofo, scrittore, mistico che visse a lungo in Turchia e in Francia. Il suo insegnamento consiste in un sistema sincretico di tecniche per superare gli automatismi esistenziali che condizionano l’essere umano. Nel 1919 ha fondato l’Istituto per lo sviluppo Armonico dell’Uomo e nel 1922 la Casa di Studi al Prieuré vicino a Parigi. Le “danze sacre” costituivano il coronamento del suo insegnamento. Ha scritto Incontri con uomini straordinari (1960) pubblicato postumo in Italia da Adelphi e nel testo Vedute sul mondo reale, pubblicato nel 1985 da l’Ottava Edizioni, la collana curata, tra gli altri, da Franco Battiato, vengono rese pubbliche le lezioni che aveva tenuto a New York nel 1924 in cui parlava anche dell’arte oggettiva, che definiva “creativa” [pp. 172 – 178].
50 S. Vitale, L’arte sempre valida, n. 11, “L’Età dell’Acquario”, Editore Edoardo Bresci, Torino, luglio-agosto 1972, p. 28. Spesso accadeva che del Boca firmasse i suoi articoli con nomi differenti dal suo, utilizzando quello di persone che frequentava, come in questo caso.
51 Ivi, p. 28.
52 B. del Boca, Il servizio, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1988, p. 213.
53 B. del Boca, La dimensione umana, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1971, p. 10.
54 B. del Boca, Il servizio, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1988, p. 233. I versi continuano con: “come l’essere mio si ritrae nella rincorsa per osare il balzo fin presso a te; so come il doppio ciglio valica tali vortici di sguardo”.
55 B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 44.
56 B. del Boca, La dimensione umana, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1971, pagina iniziale.
57 Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972) incisore e grafico. Ha realizzato opere che tendono a rappresentare costruzioni impossibili. Nella sua mostra allestita ultimamente a Palazzo Reale a Milano (24 giugno 2016 – 22 gennaio 2017) sono stati esposti 29 frontespizi. Cfr.M. Bussagli, F. Giudiceandrea (a cura di), M. C. Escher, Milano, 2016, pp. 68 - 83.
58 L’articolo in cui ne parla più diffusamente è B. del Boca, Il tempo asciuga ogni lacrima ma mi piove negli occhi, “L’Età dell’Acquario”, n. 15, Editore Edoardo Bresci, Torino, marzo – aprile 1973, pp. 3 - 7.
59 La rivista, in realtà, è proseguita fino al 2004, ma riproponendo per lo più articoli di del Boca già precedentemente pubblicati.
60 B. del Boca, Logo, simbolo e individualismo, “L’Età dell’Acquario”, n. 80, Editore Edoardo Bresci, Torino, luglio-agosto 1993, p. 5.
61 B. del Boca, Arte – La psicotematica, “L’Età dell’Acquario”, n. 5, Editore Edoardo Bresci, Tor ino, luglio-agosto 1971, p. 38.
62 Lo studio S.C.E.R.P.A., con sede in Via Molise 54 a Milano, si occupò, fra l’altro, anche della redazione e della grafica dell’enciclopedia L’altra scienza (cfr. nota n. 65).
63 B. del Boca, In tema di, Fondazione Bernardino del Boca, Cavallirio (No), 2010. I suoi articoli compaiono dal 1° numero dell’aprile 1969 al novembre 1978.
64 B. del Boca, Asia, Omnia Mundi – Enciclopedia del mondo, De Agostini, Novara, 1959.
65 B. del Boca, Storia della antropologia, Vallardi, Milano, 1961.
66 L’altra scienza - Enciclopedia della parapsicologia e dell’esoterismo, Procaccianti, Milano, 1982.
67 E. Bresci, Educazione tecnica – Applicazioni tecniche maschili, Bietti, Milano, 1968.
68 Lettera scritta da Francesca l’8 dicembre 2006 e indirizzata al presidente della Fondazione Enrico Sempi [FBdB].
69 Rudolf Steiner (1861 – 1925), dopo essere stato stretto collaboratore della Società Teosofica, se ne allontanò per fondare l’Antroposofia (1913); fu promotore di una particolare corrente pedagogica (pedagogia di Waldorf), di un tipo di medicina (steineriana), ispiratore dell’agricoltura biodinamica e anche di uno stile architettonico e pittorico, che riprende le teorie espresse da Goethe in Teoria dei colori (1810) e le approfondisce.
70 Alberto Abate (1946 – 2012), protagonista del movimento Anacronismo (1980) nato a Roma, in aperta contrapposizione con le esperienze concettuali degli anni ’70, per un ritorno alla “Pittura” tradizionale. La corrente sfociò poi nella Pittura Colta (1982), storicamente anticipata dalla Transavanguardia e dai Nuovi Selvaggi tedeschi, che facevano loro modelli e iconografie dell’arte rinascimentale. Abate ha insegnato alle Università di Catania (1965 – 1973) e Siracusa negli anni ‘90.
71 A. Abate, Dottrina dell’amore, Polittico, Roma, 1995, p. 28.
72 Ivi, p. 14
73 G. de Chirico, Piccolo trattato di tecnica pittorica, Hoepli, Milano, 1928. I suoi interessi per la tecnica pittorica lo avevano già portato a pubblicare altri testi come Il ritorno al mestiere (1919), Pro tempera oratio (1920) e Pro tecnica oratio (1923).
74 B. del Boca, Per una storia della Società Teosofica italiana, “L’Età dell’Acquario”, n. 35, Editore Edoardo Bresci, Torino, p. 22.
75 F. Caroli, Storia della fisiognomica – Arte e psicologia da Leonardo a Freud, Electa, Milano, 1995. F. Caroli, L. Festa, Tutti i volti dell’arte, Arnoldo Mondadori, Milano, 2007. Ultimo della serie, a completamento degli studi precedenti: F. Caroli, Anime e volti, L’arte dalla psicologia alla psicoanalisi, Electa, Milano, 1914.
76 L’Anima e il Volto – Ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon, Electa, Milano, 1998.
77 B. del Boca, Dalla parola alla fisiognomica, La dimensione umana, Edizioni l’Età dell’Acquario - Bresci Editore, Torino, 1971, pp. 164 - 173.
78 Il suo valore è stato riconosciuto per la prima da Lionello Venturi in L. Venturi, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Roma, 1926.
79 W. Blake (1757 – 1827), poeta, incisore e pittore inglese ha svolto un ruolo importante per il concetto di “immaginazione” nella cultura occidentale. Più volte nominato nei testi di del Boca, la citazione più significativa si trova in B. del Boca, Singapore Milano Kano - Gli ultimi 7 anni di un’Età, Edizioni l’Età dell’Acquario – Bresci Editore, Torino, 1976, p. 270.
80 V. Terraroli, L’età dell’innocenza, in Catalogo della mostra a Palazzo Ducale a Venezia marzo-luglio 2014, Henry Rousseau - il Candore Arcaico, 24 Ore Cultura, p. 38.
81 E. Shield, L’anima della Fratellanza dei Pre-Raffaelliti, “L’Età dell’Acquario”, n. 22, Editore Edoardo Bresci, Torino, pp. 39 - 41. Spesso accadeva che del Boca firmasse i suoi articoli con nomi differenti dal suo, utilizzando quello di persone che frequentava oppure di uomini del passato di cui pensava non si dovesse dimenticare il nome.
82 P. Florenskij, Le porte regali – Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 1977.
83 Per maggiori dettagli su questo argomento si rimanda alla scheda del disegno Ogni sguardo una strada in questo catalogo.
84 L’immagine dell’albero così descritto è presente almeno in sette delle opere esposte: Veduta dell’antica casa della famiglia del Boca, L’Arca di Noè, I superstiti dell’Età dell’Acquario, Le maschere, Portale con ragazzo, Ogni sguardo una strada, Deva.
85 R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 49.
86 F. Caroli, Arte d’Oriente Arte d’Occidente – Per una storia delle immagini nell’era della globalità, Electa, Milano, 2006, p. 33.
87 Ibidem, p.33.
88 B. del Boca, Thailandia, in Omnia Mundi – Enciclopedia del mondo, De Agostini, Novara, 1959, p. 303.